giovedì 13 agosto 2009

Punti di svista

Una riflessione su coloro che spesso
riflettono…
E con il termine riflettere mi riferisco alla proprietà intrinseca delle superfici lucide, di darti di rimando ciò che gli appare di fronte.
Proprietà intrinseca interessante quella di riflettere (in questo caso sono interessanti entrambe le accezioni del verbo).



E’ un talento, una capacità che non tutti hanno e che ti permette di trarre vantaggi non da poco.
Qual’è il problema, allora?
(perché tanto ormai lo sapete che se scrivo un post è perché c’è qualcosa che non quaglia)
Il problema sta nel fatto che chi riflette poi è incapace di smettere di farlo.
E che quando riflette, finisce per fermarsi non all’immagine che ha riflesso, come sarebbe logico, ma si ferma all’immagine che il suo cervello ha costruito rielaborando quando visto, chiudendo la persona riflessa all’interno di una brutta copia di se stesso.
Altro dilemma, come fare ad evitare di esser riflessi? Non tutti, infatti, sono interessati all’affascinante mondo dell’introspezione personale.
Non tutti sanno sopportare un simile “trauma”. Ed il risultato è quello di diventare il personaggio di un libro di Pirandello.
Le persone sopra descritte risultano più verosimili (e, attenzione, ho detto verosimili) se la superficie che le riflette non è integra ma più o meno frammentata, incrinata, discontinua.
Finita la somiglianza, però, è necessario essere in grado di discostarsi dalla superficie stessa.
Come a dire “grazie per avermi fatto vedere un frammento di me, ma ora fai come Baglioni (ndr. che notoriamente si leva dai c******) e lasciami libero di poter esser ciò che desidero, senza avere il patema di dover corrispondere a ciò che tu rifletti, pena il disonore (ed il tuo disorientamento)”.

Ma in fondo, a chi importa?
Tanto i cactus, al pari di angeli e vampiri, non vengono riflessi nelle superfici lucide.
O sì?

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